21 Novembre 2024

La Paleofrana di Lettopalena

Progetto editoriale con la collaborazione del fotografo Bruno D'Amicis
Ammirando la mole della Maiella lungo il suo tormentato versante orientale e, in particolare dalle alture della destra orografica della Valle dell'Aventino, come per esempio nei pressi di Colledimacine, lo sguardo che scorre lungo le sue pendici, prima o poi finisce per soffermarsi su una strana incisione. Tra le valli di Taranta e di Lettopalena, infatti, sembra quasi sia stato asportato un tassello di montagna. Un'enorme porzione di torta tagliata con maestria da una mano gigantesca, che ha lasciato dietro di sé un vuoto dalla forma vagamente rettangolare.
Avvicinandosi alla base di questa grande rientranza per indagare e guardando dal lato opposto, verso il fondo della valle, si scorge un immenso ammasso di detriti.

Migliaia e migliaia di tonnellate di roccia grigia, che giacciono immobili, formando una collina ai piedi del ripido pendio: una frana di proporzioni colossali.

Il deposito detritico della Paleofrana di Lettopalena
Anche se la vegetazione e alcune costruzioni umane ricoprono parte del deposito detritico e dell'area di distacco e seppure sembri una “ferita” recente, ancora aperta, in realtà si tratta di una frana antichissima. Il cataclisma sembra infatti essere avvenuto circa 5000 anni fa, com'è stato possibile stimare attraverso la datazione di un tronco di leccio rinvenuto tra i detriti.

La cosiddetta Paleofrana di Lettopalena è uno dei geositi della Maiella più sconvolgenti, perché pone il visitatore direttamente di fronte all'evidenza della forza immane della Terra e della sua grande imprevedibilità.


Un inquietante primato per un'area che, purtroppo, ha spesso dovuto soffrire per i capricci della geologia.
Si pensa che questo evento disastroso si sia potuto verificare a seguito di un violento terremoto, con il distacco improvviso di vari strati di roccia, che poi sono letteralmente scivolati lungo il ripido pendio. Ancora oggi, avvicinandosi, è possibile osservare i piani fortemente inclinati, disposti, in gergo, a “franapoggio”. L'area è talmente scoscesa, che, sin dall'antichità, le persone hanno potuto attraversare questo pendio lungo delle vie obbligate: le “tagliate”, vie aperte a colpi di piccone, che ancora oggi sono le uniche vie di comunicazione. Se ne conoscono tre, di cui la principale è la strada che percorre le pendici della montagna, mentre una molto antica corre più in basso, vertiginosamente sospesa sulle acque spumeggianti del fiume.
L'antica tagliata scavata nella roccia a precipizio sul fiume Aventino
Proprio a questa frana e all'ipotizzato lago temporaneo formato dal blocco del corso del fiume dovuto ai detriti, si potrebbe far risalire il nome stesso di Aventino, che nella radice osca del termine indicherebbe, appunto, un lago.
Ammutoliti di fronte alla scala di questo evento geologico, con un po' di immaginazione, sembra quasi di poter udire il profondo boato e immaginare l'enorme nuvola di polvere sollevata dalla frana, la cui catastrofica portata non può non aver colpito a fondo l'animo e l'immaginazione dei nostri antenati.

Ammirando la mole della Maiella lungo il suo tormentato versante orientale e, in particolare dalle alture della destra orografica della Valle dell'Aventino, come per esempio nei pressi di Colledimacine, lo sguardo che scorre lungo le sue pendici, prima o poi finisce per soffermarsi su una strana incisione. Tra le valli di Taranta e di Lettopalena, infatti, sembra quasi sia stato asportato un tassello di montagna. Un'enorme porzione di torta tagliata con maestria da una mano gigantesca, che ha lasciato dietro di sé un vuoto dalla forma vagamente rettangolare.
Avvicinandosi alla base di questa grande rientranza per indagare e guardando dal lato opposto, verso il fondo della valle, si scorge un immenso ammasso di detriti.

Migliaia e migliaia di tonnellate di roccia grigia, che giacciono immobili, formando una collina ai piedi del ripido pendio: una frana di proporzioni colossali.

Anche se la vegetazione e alcune costruzioni umane ricoprono parte del deposito detritico e dell'area di distacco e seppure sembri una “ferita” recente, ancora aperta, in realtà si tratta di una frana antichissima. Il cataclisma sembra infatti essere avvenuto circa 5000 anni fa, com'è stato possibile stimare attraverso la datazione di un tronco di leccio rinvenuto tra i detriti.

La cosiddetta Paleofrana di Lettopalena è uno dei geositi della Maiella più sconvolgenti, perché pone il visitatore direttamente di fronte all'evidenza della forza immane della Terra e della sua grande imprevedibilità.


Un inquietante primato per un'area che, purtroppo, ha spesso dovuto soffrire per i capricci della geologia.
Si pensa che questo evento disastroso si sia potuto verificare a seguito di un violento terremoto, con il distacco improvviso di vari strati di roccia, che poi sono letteralmente scivolati lungo il ripido pendio. Ancora oggi, avvicinandosi, è possibile osservare i piani fortemente inclinati, disposti, in gergo, a “franapoggio”. L'area è talmente scoscesa, che, sin dall'antichità, le persone hanno potuto attraversare questo pendio lungo delle vie obbligate: le “tagliate”, vie aperte a colpi di piccone, che ancora oggi sono le uniche vie di comunicazione. Se ne conoscono tre, di cui la principale è la strada che percorre le pendici della montagna, mentre una molto antica corre più in basso, vertiginosamente sospesa sulle acque spumeggianti del fiume.
Proprio a questa frana e all'ipotizzato lago temporaneo formato dal blocco del corso del fiume dovuto ai detriti, si potrebbe far risalire il nome stesso di Aventino, che nella radice osca del termine indicherebbe, appunto, un lago.
Ammutoliti di fronte alla scala di questo evento geologico, con un po' di immaginazione, sembra quasi di poter udire il profondo boato e immaginare l'enorme nuvola di polvere sollevata dalla frana, la cui catastrofica portata non può non aver colpito a fondo l'animo e l'immaginazione dei nostri antenati.

La Maiella orientale e l'uomo

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