SCHEGGE DI GEODIVERSITA'
Progetto editoriale con la collaborazione del fotografo Bruno D'Amicis
Da qualsiasi angolo la si guardi, che sia la Conca Peligna o la costa teramana, le colline del pescarese o la Val di Sangro, la Maiella è sempre una presenza ingombrante nel paesaggio.
Da oriente, in particolare, il dislivello che separa il mondo degli uomini da quello dell'alta quota è tale che la montagna appaia come una fortezza inespugnabile. Con soggezione, allora, ci si accosta ai suoi piedi. Visti da sotto, i versanti aridi, spogli e ripidissimi, e le pareti rocciose a strapiombo sembrano voler respingere qualsiasi aspirazione di contatto. Se si riesce a superare questo primo senso di sbigottimento e si intraprende la salita, i muscoli delle gambe iniziano a dialogare con il terreno e, passo dopo passo, la montagna si fa più accogliente. La pendenza talvolta si addolcisce e sembra addirittura voler concedere il lusso di un momento di riposo, magari all'ombra di una parete aggettante, sotto cui zampilla coraggiosa una piccola sorgente.
È qui che, migliaia di anni fa, l'uomo ha iniziato di espugnare la montagna, per stabilirvi le proprie dimore temporanee.
Tra questi interstizi, quindi, la geologia si è fatta storia, e poi architettura. Un'architettura timida ed effimera, essenziale quanto funzionale, che, mimetizzandosi con il calcare, sembra volersi nascondere, quasi a non risvegliare il gigante addormentato. E così la parete è diventata grotta, la grotta si è fatta capanna e la capanna tempio. Forse è proprio dagli umili ricoveri dei pastori, i veri conoscitori della Maiella, che sono nati i tanti piccoli eremi e santuari rupestri che rendono giustamente celebre questa montagna.
I resti dell'eremo di Sant'Angelo, risalenti al secolo XI, nell'omonima grotta nei pressi di Palombaro, sembrano fondersi con la roccia calcarea e rappresentano uno degli esempi più straordinari di architettura rupestre della Maiella.
Allo stesso tempo, in un dialogo silenzioso, ma che perdura da milioni di anni, tra l'evoluzione della Terra e quella delle specie, la componente minerale della Maiella si è pian piano tradotta in vita. E che vita! Il Massiccio, infatti, è caratterizzato da una biodiversità sorprendente, con moltissime specie rare o endemiche, cioè introvabili altrove al Mondo, e che rappresentano il patrimonio più fragile e prezioso di un meraviglioso Parco Nazionale istituito nel 1995.
Le morbide meringhe di batteri che si sviluppano sulle concrezioni al buio di alcune grotte; le delicate soldanelle e le intriganti pinguicole, che crescono sotto le pareti bagnate dallo stillicidio; i ciuffetti di androsace che resistono sulle vette spazzate dai venti; gli zoccoli flessibili dei camosci che aderiscono sicuri alle placche calcaree, o il volo sbarazzino dei gracchi che sfidano i venti in quota, sono tutte declinazioni di una geologia che nel tempo va scrivendosi nel DNA di migliaia di organismi. Ed è proprio per questa lampante e variegata serie di combinazioni tra minerale e vivente, tra geologia, cultura e biologia, e per la sua valenza nel rivelare a tutti le complessità del passato di un territorio, che il Parco Nazionale della Maiella nel 2021 è entrato a buon diritto nelle fila dei Geoparchi UNESCO.
Studiare e ricostruire la storia naturale e culturale della Maiella è un lavoro appassionante, ma lungo e difficile.
Questo non si può fare tutto a tavolino, ma piuttosto zaino in spalla, arrancando sulle pietraie arse da un sole impietoso, o ricercando il sentiero scomparso tra le gelide nebbie d'autunno. Partendo dai 95 geositi della Maiella, nonché dalle vicende e dalle scoperte di chi ha dedicato la propria vita all'esplorazione e alla protezione di questa montagna, è possibile iniziare a ricomporre i pezzi di un enorme puzzle, vecchio sì di milioni di anni, ma che forse tiene in serbo tutti i segreti per affrontare il futuro.
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