TAPPA III – Campo di Giove - Sant’Eufemia a Maiella.
Scheda Tecnica:
Sigle dei sentieri percorsi: Via Caramanico T. (fino a Eremo San Germano di Pacentro) - Q2 - Q1 - Q8 - Q7
Località di inizio: Campo di Giove
Località di arrivo: Sant'Eufemia a Maiella
Difficoltà escursionistica: EE - ESCURSIONISTI ESPERTI
Dislivello in salita: m. 400 circa
Dislivello in discesa: m. 500 circa
Lunghezza: km 20,400 circa
Tempo di percorrenza: 6h. 00' circa
Punto acqua: Campo di Giove – Roccacaramanico – Sant'Eufemia a Maiella
Strutture informative del Parco più prossime alla zona: Centro Informazioni di Campo di Giove, Centro Informazioni di Sant'Eufemia a Maiella
Località di inizio: Campo di Giove
Località di arrivo: Sant'Eufemia a Maiella
Difficoltà escursionistica: EE - ESCURSIONISTI ESPERTI
Dislivello in salita: m. 400 circa
Dislivello in discesa: m. 500 circa
Lunghezza: km 20,400 circa
Tempo di percorrenza: 6h. 00' circa
Punto acqua: Campo di Giove – Roccacaramanico – Sant'Eufemia a Maiella
Strutture informative del Parco più prossime alla zona: Centro Informazioni di Campo di Giove, Centro Informazioni di Sant'Eufemia a Maiella
Descrizione:
Il terzo giorno, partendo da Campo di Giove ci si immette lungo la strada che conduce verso Passo san Leonardo, prendendo il sentiero Q2 nei pressi della chiesetta di San Germano. Si continua a scendere fino ad intersecare l'incrocio con il Q1 che conduce a Passo San Leonardo. Il Q8 fa giungere, dopo aver attraversato il borgo di Roccacaramanico, al sentiero Q7. Il borgo di Sant'Eufemia conclude il terzo giorno. Luoghi legati agli episodi di brigantaggio: Campo di Giove, Passo San Leonardo, Roccacaramanico, San Giacomo, Sant'Eufemia Maiella.
Episodi di Brigantaggio lungo la tappa:
26-27 giugno 1861 – Passa San Leonardo: crocevia di briganti Nei mesi estivi del 1861, Passo San Leonardo era un valico per bande di uomini attraverso il quale potevano raggiungere la conca Peligna o la valle dell'Orte a seconda da dove essi provenivano. Dal borgo di Pacentro la banda di Pasquale Mancini, detto Il mercante, faceva spesso la sua comparsa; per questo motivo da Roccacaramanico a Pacentro ogni giorno si muoveva un gruppo di soldati della guardia nazionale per controllare il territorio. Dal borgo di Pacentro, Il pomeriggio del 26 giugno, i militi decisero di riprendere la via per Roccacaramanico (detta La rocchetta), ma giunti dinanzi Fonte Tamburro subirono un'imboscata con colpi di fucili da ogni dove.
Due soldati morirono e diversi furono feriti.
La mattina successiva vi fu la rappresaglia. Una nuova comitiva di militari era imminente e da Roccacaramanico partì e nel corso del tragitto, poco prima del luogo dell'agguato, trovarono sulla loro strada due lavoratori intenti a falciare il fieno.
Raffaele Agostinelli di Pacentro vide i soldati arrivare da lui con i fucili spianati e, intimandoli la resa, non poté fare altro che obbedire. L'altro, invece, Vincenzo Ricci d'Introdacqua non ebbe nessuna intenzione di andare ai ferri e fuggì inseguito dai militi che sparano in continuazione. Le ferite provocate a Vincenzo gli fecero perdere molto sangue. Così dopo aver perso totalmente le proprie forze morirà accasciato.
Il Sindaco di Pacentro Francesco Massa protesterà energicamente. L'inchiesta che ne ebbe seguito dimostrò che i due lavoratori erano innocenti ed estranei all'attacco dei briganti.
Erano dunque tempi tristi. Oltre alla miseria ora regnava la paura per molti di capitare tra due fuochi. Il soldato che combatteva per il nuovo ordine costituito ed il brigante che difendeva la propria idea.
5 giugno 1862 - L'invasione di Roccacaramanico
L'obiettivo, era distruggere e bruciare le carte che attestavano i possedimenti da tassare di molti piccoli contadini! Luca Pastore il caramanichese lo aveva già detto nel suo paese che prima o poi avrebbe attaccato e distrutto gli archivi, in cui erano depositati molti documenti di debiti della povera gente, e tra questi archivi vi erano quelli del comune di Roccacaramanico. Ora che aveva uomini a disposizione ed armi sufficienti prese in diverse razzie, bisognava soltanto attaccare il piccolo borgo, più sguarnito di soldati rispetto ai paesi limitrofi.
C'era il sole, quella mattina del 5 giugno 1862, ma molte nuvole facevano presagire che nel pomeriggio sarebbe arrivata la pioggia. Così gli uomini andarono lo stesso nei campi lasciando in paese solo donne e bambini, oltre che vari funzionari comunali. Luca, nascosto nel vicino bosco osservava, studiava i movimenti degli abitanti, ascoltava e valutava le notizie che gli riferivano dal paese. Le otto guardie nazionali presenti erano in perlustrazione. Non era chiaro se vi fosse qualcuno a guardia del paese ma sicuramente il numero dei difensori era esiguo rispetto alla sua banda composta di 23 unità. Egli pensa, valuta e decide: si passò quindi all'azione. La banda fu divisa in due gruppi. Lui, il capo, si diresse con 8 uomini verso il municipio all'imbocco del paese, mentre tutti gli altri si muovevano verso la zona ora denominata Lu Cantone, dove si trovava il posto della guardia nazionale. I pochi soldati presenti si arresero e le armi vennero a loro strappate. Poi passarono a saccheggiare alcune case. Qualcuno gridò «Li brigante!, li brigante!». Gli uomini dalla campagna iniziarono a tornare in paese. Intanto Pastore fece sfondare la porta del municipio con una scure e di forza si diressero verso l'archivio. Nel passaggio strapparono e bruciarono il ritratto di Vittorio Emanuele II. Alcuni suoi compagni si diedero alla devastazione. Pastore, insieme a pochi, riuscì ad entrare nel luogo in cui erano depositati i documenti relativi alle proprietà degli abitanti della Rocchetta. Accese un falò ed iniziò a bruciare tutto.
Era un via vai di uomini armati che gridavano e «sfasciavano». Sergio implorò pietà e qualcuno decise di liberarlo a patto che non fuggisse altrimenti gli avrebbero « fatto saltare il cervello». Lo condussero con gli altri prigionieri vicino ad un carretto legato ad una giumenta. Pastore decise di trascinare parte della refurtiva sulla montagna e quello che non entrava nel trasporto lo avrebbero portato a mano i prigionieri. Non potevano rimanere a lungo in loco, poiché da Caramanico marciavano una colonna di real carabinieri. La pioggia aumentava ed il gruppo si inerpicò lungo il sentiero che porta sul Morrone. Giunti verso la località denominata «La Piscina» i briganti decisero di lasciare tornare al paese i prigionieri. Non possiamo certamente dire quale sia stata la direzione della banda. Tuttavia, dopo alcune settimane, alcuni iniziarono a disertare ed a presentarsi alle autorità. La vita errabonda nei boschi risultava troppo dura. Nei boschi della Maiella e del Morrone, nel corso del 1862, sarà sempre più fitta e serrata la ricerca da parte dei soldati sulle tracce di Luca Pastore. Oramai, anche per lui, il tempo della reazione si stava per concludere.
La mattina successiva vi fu la rappresaglia. Una nuova comitiva di militari era imminente e da Roccacaramanico partì e nel corso del tragitto, poco prima del luogo dell'agguato, trovarono sulla loro strada due lavoratori intenti a falciare il fieno.
Raffaele Agostinelli di Pacentro vide i soldati arrivare da lui con i fucili spianati e, intimandoli la resa, non poté fare altro che obbedire. L'altro, invece, Vincenzo Ricci d'Introdacqua non ebbe nessuna intenzione di andare ai ferri e fuggì inseguito dai militi che sparano in continuazione. Le ferite provocate a Vincenzo gli fecero perdere molto sangue. Così dopo aver perso totalmente le proprie forze morirà accasciato.
Il Sindaco di Pacentro Francesco Massa protesterà energicamente. L'inchiesta che ne ebbe seguito dimostrò che i due lavoratori erano innocenti ed estranei all'attacco dei briganti.
Erano dunque tempi tristi. Oltre alla miseria ora regnava la paura per molti di capitare tra due fuochi. Il soldato che combatteva per il nuovo ordine costituito ed il brigante che difendeva la propria idea.
5 giugno 1862 - L'invasione di Roccacaramanico
L'obiettivo, era distruggere e bruciare le carte che attestavano i possedimenti da tassare di molti piccoli contadini! Luca Pastore il caramanichese lo aveva già detto nel suo paese che prima o poi avrebbe attaccato e distrutto gli archivi, in cui erano depositati molti documenti di debiti della povera gente, e tra questi archivi vi erano quelli del comune di Roccacaramanico. Ora che aveva uomini a disposizione ed armi sufficienti prese in diverse razzie, bisognava soltanto attaccare il piccolo borgo, più sguarnito di soldati rispetto ai paesi limitrofi.
C'era il sole, quella mattina del 5 giugno 1862, ma molte nuvole facevano presagire che nel pomeriggio sarebbe arrivata la pioggia. Così gli uomini andarono lo stesso nei campi lasciando in paese solo donne e bambini, oltre che vari funzionari comunali. Luca, nascosto nel vicino bosco osservava, studiava i movimenti degli abitanti, ascoltava e valutava le notizie che gli riferivano dal paese. Le otto guardie nazionali presenti erano in perlustrazione. Non era chiaro se vi fosse qualcuno a guardia del paese ma sicuramente il numero dei difensori era esiguo rispetto alla sua banda composta di 23 unità. Egli pensa, valuta e decide: si passò quindi all'azione. La banda fu divisa in due gruppi. Lui, il capo, si diresse con 8 uomini verso il municipio all'imbocco del paese, mentre tutti gli altri si muovevano verso la zona ora denominata Lu Cantone, dove si trovava il posto della guardia nazionale. I pochi soldati presenti si arresero e le armi vennero a loro strappate. Poi passarono a saccheggiare alcune case. Qualcuno gridò «Li brigante!, li brigante!». Gli uomini dalla campagna iniziarono a tornare in paese. Intanto Pastore fece sfondare la porta del municipio con una scure e di forza si diressero verso l'archivio. Nel passaggio strapparono e bruciarono il ritratto di Vittorio Emanuele II. Alcuni suoi compagni si diedero alla devastazione. Pastore, insieme a pochi, riuscì ad entrare nel luogo in cui erano depositati i documenti relativi alle proprietà degli abitanti della Rocchetta. Accese un falò ed iniziò a bruciare tutto.
Era un via vai di uomini armati che gridavano e «sfasciavano». Sergio implorò pietà e qualcuno decise di liberarlo a patto che non fuggisse altrimenti gli avrebbero « fatto saltare il cervello». Lo condussero con gli altri prigionieri vicino ad un carretto legato ad una giumenta. Pastore decise di trascinare parte della refurtiva sulla montagna e quello che non entrava nel trasporto lo avrebbero portato a mano i prigionieri. Non potevano rimanere a lungo in loco, poiché da Caramanico marciavano una colonna di real carabinieri. La pioggia aumentava ed il gruppo si inerpicò lungo il sentiero che porta sul Morrone. Giunti verso la località denominata «La Piscina» i briganti decisero di lasciare tornare al paese i prigionieri. Non possiamo certamente dire quale sia stata la direzione della banda. Tuttavia, dopo alcune settimane, alcuni iniziarono a disertare ed a presentarsi alle autorità. La vita errabonda nei boschi risultava troppo dura. Nei boschi della Maiella e del Morrone, nel corso del 1862, sarà sempre più fitta e serrata la ricerca da parte dei soldati sulle tracce di Luca Pastore. Oramai, anche per lui, il tempo della reazione si stava per concludere.
14 Agosto 1862 – La Battaglia di Campo di Giove Tre bande per un totale di 110 uomini si riunirono sul monte Ugni sotto la guida di Francescantonio Cappucci, luogotenente di Chiavone. Decisero di attaccare la potente e ricca famiglia dei Ricciardi presso il comune di Campo di Giove. Dopo pochi giorni di cammino con fucili e provviste passando per l'attuale rifugio Martellese (2049 m), scesero verso la località «La Carozza» per ripidi sentieri e qui risalirono verso Cima Murelle (2596 m), raggiunsero la sella del Monte Acquaviva e dopo aver raggiunto il monte Focalone (2676 m) si diressero verso il monte Amaro (2793 m) e discesero verso la valle di Femmina morta. Da qui raggiunsero il Guado di Coccia da dove si poteva osservare il Borgo di Campo di Giove. Qui poco dopo lo spuntare del giorno sferrarono l'attacco all'interno del paese e andarono verso la casa di Don Vincenzo Ricciardi (oggi sede del municipio). Furono sorpresi dalla resistenza dei locali che li costrinsero alla ritirata dopo due ore e mezza di battaglia. Molti briganti furono feriti, alcuni morirono. E la banda nella ritirata si sfaldò e ognuna tornò verso la propria zona.
Curiosità:
“Tra il 5 ed il 6 maggio 1859, nelle stesse ore in cui Garibaldi si apprestava a partire da Quarto per piombare addosso al Regno delle Due Sicilie, A.C.Colafella bussava alla porta di Michele Sanelli di Caramanico. Michele, anziano e umile contadino, era adagiato su un pagliaio vicino la sua casa in contrada Bitua e probabilmente aveva passato lì la notte. Nel frattempo la moglie Maria Donata ancora insonnolita chiese: -Chi è? . Il Colafella rispose -La forza pubblica! . La donna, intimorita, aprì la porta e accese un po' di paglia per illuminare l'ambiente; si accorse solo allora che dinnanzi a lei vi era il latitante di Sant'Eufemia. Colafella le puntò il fucile e, gentilmente, chiese di dargli tutto ciò che aveva in oro e denari. Michele, sentendo il vocio, cercò di tornare indietro, ma fu bloccato sull'uscio da un altro uomo armato. Il totale del bottino fu di 9 ducati di valore. Non fece del male a nessuno, ma ormai tutti sapevano che il brigante era tornato e le sue gesta sarebbero rimaste nella storia locale.”
Sulla battaglia di Campo di Giove:
I briganti sferrarono l'attacco andando verso la casa di Don Vincenzo Ricciardi (oggi sede del municipio). L'abitazione fu bersagliata dai proiettili tanto che ancora oggi è possibile vedere dei fori sulla colombaia soprastante.
Inoltre, questa battaglia verrà ricordata perché aveva dato un colpo duro al tentativo di organizzare una grande banda incentrata su un'unica guida. Dopo questo episodio non ci saranno più tentativi di invasione di paesi e le bande armate arriveranno ad avere una decina di uomini.
Leggi di più:
ANGELO CAMILLO COLAFELLA
“Tra il 5 ed il 6 maggio 1859, nelle stesse ore in cui Garibaldi si apprestava a partire da Quarto per piombare addosso al Regno delle Due Sicilie, A.C.Colafella bussava alla porta di Michele Sanelli di Caramanico. Michele, anziano e umile contadino, era adagiato su un pagliaio vicino la sua casa in contrada Bitua e probabilmente aveva passato lì la notte. Nel frattempo la moglie Maria Donata ancora insonnolita chiese: -Chi è? . Il Colafella rispose -La forza pubblica! . La donna, intimorita, aprì la porta e accese un po' di paglia per illuminare l'ambiente; si accorse solo allora che dinnanzi a lei vi era il latitante di Sant'Eufemia. Colafella le puntò il fucile e, gentilmente, chiese di dargli tutto ciò che aveva in oro e denari. Michele, sentendo il vocio, cercò di tornare indietro, ma fu bloccato sull'uscio da un altro uomo armato. Il totale del bottino fu di 9 ducati di valore. Non fece del male a nessuno, ma ormai tutti sapevano che il brigante era tornato e le sue gesta sarebbero rimaste nella storia locale.”
Sulla battaglia di Campo di Giove:
I briganti sferrarono l'attacco andando verso la casa di Don Vincenzo Ricciardi (oggi sede del municipio). L'abitazione fu bersagliata dai proiettili tanto che ancora oggi è possibile vedere dei fori sulla colombaia soprastante.
Inoltre, questa battaglia verrà ricordata perché aveva dato un colpo duro al tentativo di organizzare una grande banda incentrata su un'unica guida. Dopo questo episodio non ci saranno più tentativi di invasione di paesi e le bande armate arriveranno ad avere una decina di uomini.
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ANGELO CAMILLO COLAFELLA
LA BANDA DELLA MAIELLA
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