La Rivolta della Maiella occidentale
21-10-2022 11:28 - Notizie dal Parco
21-25 ottobre 1860, Caramanico, Sant’Eufemia, Salle e Musellaro
La mattina del 21 ottobre 1860 gli abitanti di Caramanico si recarono alle urne per il plebiscito sull’annessione al costituendo Regno d’Italia. La libertà di scelta fu assicurata dalle forze dell’ordine, dai soldati piemontesi e dai garibaldini che proteggevano le urne. Il cittadino elettore doveva recarsi sulla pedana su cui si trovavano tre urne: da una parte il contenitore del SI all’annessione, dall’altra il NO; mentre al centro vi era il raccoglitore della scheda prescelta. Quindi, in totale libertà e agli occhi di tutti, l’elettore mostrava dinanzi alle autorità del nuovo ordine politico la propria opinione sulla complicata vicenda dell’Unità d’Italia. Tanti elettori, considerando questa una farsa, non votarono per protesta, altri votarono per proprio tornaconto; altri ancora non votarono affatto perché indifferenti all’argomento; vi erano anche quelli che votarono NO, ma poi si trovarono la vittoria unanime del SI; o quelli che votarono Sì per timore di rappresaglia da chi dietro a quel voto affermativo mirava già al potere. Molti si ribellarono.
Quella mattina, Domenico del Raso si fece largo in piazza tra la folla e, togliendosi il cappello, gridò dinanzi a tutti, «Viva Francesco II!», suscitando l’entusiasmo della gente. Gli uomini della guardia nazionale cercarono di allontanare la folla con spintoni e minacce ma dovettero sparare in aria. A quel punto i fautori del NO fuggirono sgomberando la piazza e, riuniti sui ruderi del castello che dominavano il centro di Caramanico, lanciavano pietre sulle guardie nazionali. La folla di reazionari, tutti contadini, riuscì a conquistare il Municipio, fracassò i busti di Vittorio Emanuele e Garibaldi, bruciò il mobilio e s’impossessò di molti fucili. Alcuni liberali furono uccisi.
Intanto le campane di San Tommaso e di Santa Maria Maggiore e di tutte le altre chiese suonavano all’insurrezione. I rivoltosi sapevano, però, che solo un uomo poteva guidarli, l’amico del Re, Angelo Camillo Colafella di Sant’Eufemia. Questi, dalla contrada di San Giacomo si diresse dapprima verso il paese di Sant’Eufemia per impossessarsi delle armi della Guardia Nazionale per poi scendere a Caramanico, dove, entrato nel palazzo del sindaco Pasquale Costa, si impossessò dei fucili, delle munizioni e di 15.000 ducati delle tasse prelevate. Poi, insieme ai suoi uomini, si recò a casa di Tolomeo Costa, esattore delle tasse, e gli incendiò l’intera abitazione. Molte altre case, di vari «liberi professionisti», furono saccheggiate. Le vie del paese erano cosparse di roghi. Le carte notarili, indicatori di terreni e case da tassare, furono gettate nel fuoco.
Il 21 sera, l’insurrezione divampò anche a Salle, conquistata dal Colafella, che incendiò e saccheggiò la casa del capitano della guardia nazionale, ed il giorno successivo fu presa Musellaro. A Bolognano, però, giunsero i piemontesi del 45° fanteria, e Colafella si ritirò velocemente a Caramanico. I soldati, invece, occuparono Musellaro aspettando nuovi rinforzi.
Vendette ed odio imperversavano ovunque in quel momento e non tutto andò secondo il volere del Colafella. Il giorno dopo, un distaccamento di forza pubblica composta da soldati piemontesi e guardie nazionali, si dirigeva verso Caramanico. Il capo della reazione, con i suoi fidati, uscì da Caramanico e si recò incontro agli armati. Tutto, però, fu inutile poiché i soldati, meglio armati ed addestrati, riuscirono a prevaricarli entrando in paese. Il ventiquattro, intanto, la forza pubblica giunse anche a Sant’Eufemia mentre i soldati fermi a Musellaro, dopo aver riportato l’ordine a Salle, avanzarono verso Caramanico chiudendo il cerchio. I Colafella ed i suoi fidati fuggirono dandosi alla macchia nell’alta valle dell’Orta.
Nei giorni immediatamente successivi le conseguenze furono drammatiche. Non fu giustizia ma resa dei conti andando oltre la legalità. Fu il caso, ad esempio, della guardia nazionale teatina De Nicola che uccise senza processo due uomini solo perché erano sospettati di aver preso parte ai saccheggi. Erano tempi tristi e confusi, al di là degli ideali per cui si combatteva, taluni abusavano della propria posizione di forza. Poche settimane più tardi alcuni dei reazionari protagonisti di quelle giornate furono chiamati Briganti.
Quella mattina, Domenico del Raso si fece largo in piazza tra la folla e, togliendosi il cappello, gridò dinanzi a tutti, «Viva Francesco II!», suscitando l’entusiasmo della gente. Gli uomini della guardia nazionale cercarono di allontanare la folla con spintoni e minacce ma dovettero sparare in aria. A quel punto i fautori del NO fuggirono sgomberando la piazza e, riuniti sui ruderi del castello che dominavano il centro di Caramanico, lanciavano pietre sulle guardie nazionali. La folla di reazionari, tutti contadini, riuscì a conquistare il Municipio, fracassò i busti di Vittorio Emanuele e Garibaldi, bruciò il mobilio e s’impossessò di molti fucili. Alcuni liberali furono uccisi.
Intanto le campane di San Tommaso e di Santa Maria Maggiore e di tutte le altre chiese suonavano all’insurrezione. I rivoltosi sapevano, però, che solo un uomo poteva guidarli, l’amico del Re, Angelo Camillo Colafella di Sant’Eufemia. Questi, dalla contrada di San Giacomo si diresse dapprima verso il paese di Sant’Eufemia per impossessarsi delle armi della Guardia Nazionale per poi scendere a Caramanico, dove, entrato nel palazzo del sindaco Pasquale Costa, si impossessò dei fucili, delle munizioni e di 15.000 ducati delle tasse prelevate. Poi, insieme ai suoi uomini, si recò a casa di Tolomeo Costa, esattore delle tasse, e gli incendiò l’intera abitazione. Molte altre case, di vari «liberi professionisti», furono saccheggiate. Le vie del paese erano cosparse di roghi. Le carte notarili, indicatori di terreni e case da tassare, furono gettate nel fuoco.
Il 21 sera, l’insurrezione divampò anche a Salle, conquistata dal Colafella, che incendiò e saccheggiò la casa del capitano della guardia nazionale, ed il giorno successivo fu presa Musellaro. A Bolognano, però, giunsero i piemontesi del 45° fanteria, e Colafella si ritirò velocemente a Caramanico. I soldati, invece, occuparono Musellaro aspettando nuovi rinforzi.
Vendette ed odio imperversavano ovunque in quel momento e non tutto andò secondo il volere del Colafella. Il giorno dopo, un distaccamento di forza pubblica composta da soldati piemontesi e guardie nazionali, si dirigeva verso Caramanico. Il capo della reazione, con i suoi fidati, uscì da Caramanico e si recò incontro agli armati. Tutto, però, fu inutile poiché i soldati, meglio armati ed addestrati, riuscirono a prevaricarli entrando in paese. Il ventiquattro, intanto, la forza pubblica giunse anche a Sant’Eufemia mentre i soldati fermi a Musellaro, dopo aver riportato l’ordine a Salle, avanzarono verso Caramanico chiudendo il cerchio. I Colafella ed i suoi fidati fuggirono dandosi alla macchia nell’alta valle dell’Orta.
Nei giorni immediatamente successivi le conseguenze furono drammatiche. Non fu giustizia ma resa dei conti andando oltre la legalità. Fu il caso, ad esempio, della guardia nazionale teatina De Nicola che uccise senza processo due uomini solo perché erano sospettati di aver preso parte ai saccheggi. Erano tempi tristi e confusi, al di là degli ideali per cui si combatteva, taluni abusavano della propria posizione di forza. Poche settimane più tardi alcuni dei reazionari protagonisti di quelle giornate furono chiamati Briganti.
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