La Fine di una Banda
14-02-2023 15:27 - Notizie dal Parco
14 Febbraio 1862
Il giorno 2 febbraio, a Sulmona, il conte Tortis di Pettorano sul Gizio andò a casa della moglie del brigante Giuseppe Marinucci, componente della banda dei Sulmontini che nei negli ultimi mesi subì diversi arresti. Prese degli oggetti che caricò sulla mula e si allontanò. Le guardie, insospettite, lo fermarono. Trovarono cibi e vestiario da destinarsi al marito della donna. Lo rilasciarono con la promessa di collaborare alla cattura del brigante che si recava spesso nella sua casa rurale. Più tardi, il conte Tortis fu catturato ed interrogato nuovamente e si seppe che procurava ai componenti della banda viveri, armi e munizioni.
Il cerchio oramai si stava chiudendo e la resa dei conti stava per giungere anche per i fratelli Marinucci, Giuseppe e Felice. I due, trovatisi soli e riparati nella zona di Marane, non molto distanti dal casino dei Mandorleto, furono scovati dai soldati la sera del 14 febbraio 1862. I due fratelli rispondevano al fuoco trovando riparo dietro una grande pietra ma contro avevano venti soldati del 35° reggimento fanteria “Pistoia” e venticinque uomini della guardia nazionale. Giuseppe, approfittando dell’oscurità, riuscì a fuggire benché ferito. Non ci fu scampo invece per Felice. Colpito più volte dalle fucilate dei soldati cadde morto a terra. Le guardie presero il suo corpo e lo portarono a Sulmona. La mattina del giorno dopo gli abitanti furono costretti ad assistere ad un macabro rituale. Il corpo dell’ucciso fu posto sulla scalinata dell’Annunziata, monumento simbolo della città, e sulle gambe un cartello a monito contro i briganti. Giuseppe, braccato e ferito, si costituì alcuni giorni dopo, ma ebbe salva la vita. La sua resa fu seguita anche da Raffaele Grilli. Oramai non rimaneva altro da fare che arrendersi. Tuttavia, altri componenti dei Sulmontini continuarono a battersi nella banda di Pasquale Mancini, detto il Mercante, o in altri gruppi guidati da altri capobanda. Cominciava a rendersi chiaro a tutti, comunque, che non vi erano più possibilità di ripristinare l’antico regno meridionale. L’unico modo per cambiare le cose era quello di cercare il compromesso politico o andarsene via. Alcuni, però, scelsero di combattere. Concluso il tempo della banda dei Sulmontini iniziò, nella conca peligna, il tempo della Banda Maiella e del suo capo: Pasquale Mancini.
Il giorno 2 febbraio, a Sulmona, il conte Tortis di Pettorano sul Gizio andò a casa della moglie del brigante Giuseppe Marinucci, componente della banda dei Sulmontini che nei negli ultimi mesi subì diversi arresti. Prese degli oggetti che caricò sulla mula e si allontanò. Le guardie, insospettite, lo fermarono. Trovarono cibi e vestiario da destinarsi al marito della donna. Lo rilasciarono con la promessa di collaborare alla cattura del brigante che si recava spesso nella sua casa rurale. Più tardi, il conte Tortis fu catturato ed interrogato nuovamente e si seppe che procurava ai componenti della banda viveri, armi e munizioni.
Il cerchio oramai si stava chiudendo e la resa dei conti stava per giungere anche per i fratelli Marinucci, Giuseppe e Felice. I due, trovatisi soli e riparati nella zona di Marane, non molto distanti dal casino dei Mandorleto, furono scovati dai soldati la sera del 14 febbraio 1862. I due fratelli rispondevano al fuoco trovando riparo dietro una grande pietra ma contro avevano venti soldati del 35° reggimento fanteria “Pistoia” e venticinque uomini della guardia nazionale. Giuseppe, approfittando dell’oscurità, riuscì a fuggire benché ferito. Non ci fu scampo invece per Felice. Colpito più volte dalle fucilate dei soldati cadde morto a terra. Le guardie presero il suo corpo e lo portarono a Sulmona. La mattina del giorno dopo gli abitanti furono costretti ad assistere ad un macabro rituale. Il corpo dell’ucciso fu posto sulla scalinata dell’Annunziata, monumento simbolo della città, e sulle gambe un cartello a monito contro i briganti. Giuseppe, braccato e ferito, si costituì alcuni giorni dopo, ma ebbe salva la vita. La sua resa fu seguita anche da Raffaele Grilli. Oramai non rimaneva altro da fare che arrendersi. Tuttavia, altri componenti dei Sulmontini continuarono a battersi nella banda di Pasquale Mancini, detto il Mercante, o in altri gruppi guidati da altri capobanda. Cominciava a rendersi chiaro a tutti, comunque, che non vi erano più possibilità di ripristinare l’antico regno meridionale. L’unico modo per cambiare le cose era quello di cercare il compromesso politico o andarsene via. Alcuni, però, scelsero di combattere. Concluso il tempo della banda dei Sulmontini iniziò, nella conca peligna, il tempo della Banda Maiella e del suo capo: Pasquale Mancini.
A cura di Nunzio Mezzanotte - Documenti tecnico – scientifici del PNM n.10
Iniziativa promossa con i volontari S.C.U. – Ilaria Di Prinzio, Valentina Di Prinzio, Sebastian Giovannucci
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