L’insurrezione di Palena
14 dicembre 1860
Nella metà di novembre del 1860 il brigante reazionario di Sant’Eufemia a Maiella, Angelo Camillo Colafella, si portava a Gaeta aiutato dai contatti filo borbonici incontrati a Roma. Nella città eterna egli era giunto dopo esser fuggito dalla Maiella a seguito della reazione da lui guidata, nel mese precedente, che aveva sconvolto i paesi di Sant’Eufemia, Caramanico, Salle, Musellaro. A Gaeta egli incontrò un giovane di venticinque anni e due anni più giovane di lui: il re Francesco II. Il monarca accerchiato dalle truppe piemontesi guidate da Enrico Cialdini cercava di resistere in ogni modo. Il primo problema, però, era quello di assicurare gli approvvigionamenti alle sue truppe e non poteva rifornire anche i volontari accorsi a combattere per la causa borbonica come Colafella. Il giovane re, quindi, decise di congedare tutti coloro ivi accorsi con la promessa che, una volta rotto l’assedio, sarebbe giunto in loro soccorso mentre portavano scompiglio nelle retrovie dell’esercito occupante e nei territori annessi al regno d’Italia. Colafella era convinto che nei borghi della Maiella molti lo avrebbero seguito, se non per Francesco II, almeno per ribaltare quell’ordine sociale che vedeva sempre più disparità tra ceti più poveri e quelli più ricchi ed emergenti come la borghesia meridionale rappresentata da quelli che nelle fonti sono chiamati “galantuomini”.
Angelo Camillo, quindi, giunto nuovamente nello stato pontificio, raccoglie quanti più uomini possibili. Non sono in molti a seguirlo considerando che solo una decina di uomini compongono la sua banda. Non valutando sicura la valle dell’Orta che aveva interessato gli accadimenti di ottobre, decide di provare a portare scompiglio nella Maiella Orientale. Diversi contatti lo indussero ad avvicinarsi al borgo di Palena, ai piedi del monte Porrara. In paese molti erano legati ai Borbone anche se, come poi si rivelerà, in un numero meno grande rispetto alle aspettative di Angelo ed i suoi. Tuttavia il Colafella riuscì a organizzare un piccolo gruppo di abitanti di Palena a lui favorevole e nella mattina del 14 dicembre, intorno alle 9 del mattino, essi presero di mira il corpo della guardia nazionale del paese. Diversi furono i fucili presi. La guarda nazionale radunatasi intorno al castello reagì violentemente. Non ci furono morti ma diversi feriti tra gli uni e gli altri. Intanto una parte della popolazione, seguendo la spinta dei capi massa, avvio il saccheggio delle case dei più ambienti mentre i fratelli Colafella entrarono in municipio e gettarono in strada le effigi dei Savoia. «Viva Francesco II!» era il grido dominante tra i vicoli di Palena prospicenti il castello ducale fino alla chiesa del Rosario. Grida e spari si alternavano per l’intera giornata. I liberali non permettevano ai reazionari di entrare nelle loro case. L’obiettivo di Colafella, comunque, era quello di innescare una reazione a catena da Palena a tutti i paesi della valle dell’Aventino. Non c’era abbastanza organizzazione e non vi era molto seguito. Sul finire della giornata, infatti, ancora con la poca luce del tramonto a disposizione ecco che dalla Chiovera e da Capo di Fiume fu avvistato un corpo di spedizione di soldati, guardie nazionali provenienti, si dirà poi, da Castel di Sangro. Il panico prese il posto della violenza e della reazione. Molti fuggirono e ritornarono nelle case. Colafella, come era accaduto a Musellaro nel mese di ottobre cercò di creare una difesa del paese improvvisata. Aveva, però, pochi uomini a disposizione e poche armi. Non vi era possibilità di resistere e si rischiava di essere accerchiati tra i soldati che giungevano e la resistenza dei liberali presenti in paese. Era tempo di fuggire e così, facilitato dal buio della notte, con i suoi uomini si mosse verso il guado di Coccia. Alcuni compagni, però, non fecero in tempo e furono catturati. Altri abitanti di Palena, invece, vennero in seguito processati per essersi macchiati del reato di furto e saccheggio.
I giorni di quel mese di Dicembre furono violenti in molte zone d’Abruzzo. Contemporaneamente all’azione di Colafella, infatti, i paesi di Arielli, Tollo, Ari, Canosa ed Orsogna venivano investiti dal movimento di Nunziato Mecola. Anche lui, si diceva, ebbe incarico da Francesco II di creare insurrezione ovunque. Tutta la provincia dell’Aquila, invece, pur essendo stata pacificata dopo le reazioni di ottobre, continuava ad essere in situazione precaria, mentre intorno a Civitella del Tronto gruppi irregolari continuavano a scendere dalle montagne e dar man forte alla fortezza assediata dai piemontesi. Tutto faceva presagire che lo stato precario della sicurezza pubblica sarebbe vacillato nei mesi successivi. Nelle zone interne, in realtà, questa situazione perdurò per anni. La componente legittimista filo borbonica ed il malcontento sociale delle classi più povere creavano caos nell’ordine pubblico. La presenza di sbandati, provenienti dall’esercito borbonico in disfacimento e pronti a combattere, creava facilmente agli occhi di contadini e reazionari la scintilla per iniziare una qualsiasi rivolta contro il nuovo ordine. Nei mesi, ed anni a seguire, la politica fiscale ed il servizio di leva avrebbero acuito le tensioni sociali dando il via al brigantaggio. Tuttavia, il grande movimento reazionario del dicembre 1860 non fu, in Abruzzo, ben coordinato ed era frutto di azioni spontanee. Ogni giorno che passava, infatti, l’autorità di Francesco II veniva meno e ci si rassegnava oramai all’inevitabile fine del Regno.
Senza un buon coordinamento dall’alto, ogni azione risultava isolata, come anche l’insurrezione di Palena del 14 dicembre. Colafella, quindi, rimasto sempre più isolato dopo l’arresto di alcuni suoi componenti della banda, vedeva diminuire sempre più la sua forza.
Egli, però, era ancora libero e pronto ad operare e portare avanti la sua personale resa dei conti.
Nella metà di novembre del 1860 il brigante reazionario di Sant’Eufemia a Maiella, Angelo Camillo Colafella, si portava a Gaeta aiutato dai contatti filo borbonici incontrati a Roma. Nella città eterna egli era giunto dopo esser fuggito dalla Maiella a seguito della reazione da lui guidata, nel mese precedente, che aveva sconvolto i paesi di Sant’Eufemia, Caramanico, Salle, Musellaro. A Gaeta egli incontrò un giovane di venticinque anni e due anni più giovane di lui: il re Francesco II. Il monarca accerchiato dalle truppe piemontesi guidate da Enrico Cialdini cercava di resistere in ogni modo. Il primo problema, però, era quello di assicurare gli approvvigionamenti alle sue truppe e non poteva rifornire anche i volontari accorsi a combattere per la causa borbonica come Colafella. Il giovane re, quindi, decise di congedare tutti coloro ivi accorsi con la promessa che, una volta rotto l’assedio, sarebbe giunto in loro soccorso mentre portavano scompiglio nelle retrovie dell’esercito occupante e nei territori annessi al regno d’Italia. Colafella era convinto che nei borghi della Maiella molti lo avrebbero seguito, se non per Francesco II, almeno per ribaltare quell’ordine sociale che vedeva sempre più disparità tra ceti più poveri e quelli più ricchi ed emergenti come la borghesia meridionale rappresentata da quelli che nelle fonti sono chiamati “galantuomini”.
Angelo Camillo, quindi, giunto nuovamente nello stato pontificio, raccoglie quanti più uomini possibili. Non sono in molti a seguirlo considerando che solo una decina di uomini compongono la sua banda. Non valutando sicura la valle dell’Orta che aveva interessato gli accadimenti di ottobre, decide di provare a portare scompiglio nella Maiella Orientale. Diversi contatti lo indussero ad avvicinarsi al borgo di Palena, ai piedi del monte Porrara. In paese molti erano legati ai Borbone anche se, come poi si rivelerà, in un numero meno grande rispetto alle aspettative di Angelo ed i suoi. Tuttavia il Colafella riuscì a organizzare un piccolo gruppo di abitanti di Palena a lui favorevole e nella mattina del 14 dicembre, intorno alle 9 del mattino, essi presero di mira il corpo della guardia nazionale del paese. Diversi furono i fucili presi. La guarda nazionale radunatasi intorno al castello reagì violentemente. Non ci furono morti ma diversi feriti tra gli uni e gli altri. Intanto una parte della popolazione, seguendo la spinta dei capi massa, avvio il saccheggio delle case dei più ambienti mentre i fratelli Colafella entrarono in municipio e gettarono in strada le effigi dei Savoia. «Viva Francesco II!» era il grido dominante tra i vicoli di Palena prospicenti il castello ducale fino alla chiesa del Rosario. Grida e spari si alternavano per l’intera giornata. I liberali non permettevano ai reazionari di entrare nelle loro case. L’obiettivo di Colafella, comunque, era quello di innescare una reazione a catena da Palena a tutti i paesi della valle dell’Aventino. Non c’era abbastanza organizzazione e non vi era molto seguito. Sul finire della giornata, infatti, ancora con la poca luce del tramonto a disposizione ecco che dalla Chiovera e da Capo di Fiume fu avvistato un corpo di spedizione di soldati, guardie nazionali provenienti, si dirà poi, da Castel di Sangro. Il panico prese il posto della violenza e della reazione. Molti fuggirono e ritornarono nelle case. Colafella, come era accaduto a Musellaro nel mese di ottobre cercò di creare una difesa del paese improvvisata. Aveva, però, pochi uomini a disposizione e poche armi. Non vi era possibilità di resistere e si rischiava di essere accerchiati tra i soldati che giungevano e la resistenza dei liberali presenti in paese. Era tempo di fuggire e così, facilitato dal buio della notte, con i suoi uomini si mosse verso il guado di Coccia. Alcuni compagni, però, non fecero in tempo e furono catturati. Altri abitanti di Palena, invece, vennero in seguito processati per essersi macchiati del reato di furto e saccheggio.
I giorni di quel mese di Dicembre furono violenti in molte zone d’Abruzzo. Contemporaneamente all’azione di Colafella, infatti, i paesi di Arielli, Tollo, Ari, Canosa ed Orsogna venivano investiti dal movimento di Nunziato Mecola. Anche lui, si diceva, ebbe incarico da Francesco II di creare insurrezione ovunque. Tutta la provincia dell’Aquila, invece, pur essendo stata pacificata dopo le reazioni di ottobre, continuava ad essere in situazione precaria, mentre intorno a Civitella del Tronto gruppi irregolari continuavano a scendere dalle montagne e dar man forte alla fortezza assediata dai piemontesi. Tutto faceva presagire che lo stato precario della sicurezza pubblica sarebbe vacillato nei mesi successivi. Nelle zone interne, in realtà, questa situazione perdurò per anni. La componente legittimista filo borbonica ed il malcontento sociale delle classi più povere creavano caos nell’ordine pubblico. La presenza di sbandati, provenienti dall’esercito borbonico in disfacimento e pronti a combattere, creava facilmente agli occhi di contadini e reazionari la scintilla per iniziare una qualsiasi rivolta contro il nuovo ordine. Nei mesi, ed anni a seguire, la politica fiscale ed il servizio di leva avrebbero acuito le tensioni sociali dando il via al brigantaggio. Tuttavia, il grande movimento reazionario del dicembre 1860 non fu, in Abruzzo, ben coordinato ed era frutto di azioni spontanee. Ogni giorno che passava, infatti, l’autorità di Francesco II veniva meno e ci si rassegnava oramai all’inevitabile fine del Regno.
Senza un buon coordinamento dall’alto, ogni azione risultava isolata, come anche l’insurrezione di Palena del 14 dicembre. Colafella, quindi, rimasto sempre più isolato dopo l’arresto di alcuni suoi componenti della banda, vedeva diminuire sempre più la sua forza.
Egli, però, era ancora libero e pronto ad operare e portare avanti la sua personale resa dei conti.
A Cura di Nunzio Mezzanotte - Documenti tecnico – scientifici del PNM n.10
Iniziativa promossa con i Volontari S.C.U. - Ilaria Di Prinzio, Valentina Di Prinzio, Sebastian Giovannucci
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