Il brigante imprendibile
7 dicembre 1865
Nicola Marino di Roccamorice era soprannominato Occhie di celle, forse per la forma dei suoi occhi, oppure per la sua intraprendenza. Oltre a questa caratteristica, poi, si aggiungeva una cicatrice sulla guancia, sotto l’occhio sinistro. Tale segno gli dava la figura dell’uomo vissuto e combattivo e, nel contempo, anche spietato, come alcune sue azioni dimostrarono. Era stato dodici mesi in carcere già nel 1856 a causa di un omicidio avvenuto nei pressi di San Valentino in Abruzzo Citeriore. Nel 1861 vi tornò a seguito alcuni furti e taglio illegale di alberi nel bosco demaniale. Questa volta, però, scappò dalla cella con uno stratagemma e scelse di non consegnarsi. Scelse di diventare brigante. Anche lui decise, quindi, di unirsi alle bande di reazionari che si battevano per la causa borbonica o, semplicemente, per il proprio tornaconto. Dal 1861 al 1863 fece parte della banda Maiella e suoi compagni furono tra i più noti personaggi come Domenico di Sciascio, Pasquale Mancini, Luca Pastore, Salvatore Scenna. Uomini, costoro, già conosciuti alle forze dell’ordine. Più volte real carabinieri, bersaglieri o guardia nazionale erano stati vicini nel catturarlo ma lui si era fatto trovare sempre imprendibile. Spesso, però, puniva con la vendetta e l’omicidio coloro che riferivano i suoi spostamenti alle guardie. Dopo la fine della banda Maiella egli continuava ad essere il padrone della Maiella nord occidentale spostandosi, insieme alla sua piccola banda, dai tenimenti di Guardiagrele fino a quelli di Caramanico avendo come centro dei suoi spostamenti il territorio della sua Roccamorice. Molti pastori e contadini lo aiutavano. Alcuni lo temevano. Altri, invano, lo braccavano.
Nel 1865 Nicola Marino rimase sulle montagne fino ad inizio dicembre. Poi giunse la neve ed il freddo. I nascondigli soliti non erano più sicuri e potevano rivelarsi delle trappole a causa delle intemperie e dei soldati. Così Nicola ed i suoi compagni si fermavano, la sera, presso le case di gente amica. Così accadde anche la sera del 7 dicembre 1865. Nicola Marino, Carmine D’Angelo, Saverio Menna ed un altro amico chiesero ricovero a Carmine e Donato Primavera nella loro masseria, non molto distante da Guardiagrele ai piedi della Maiella. Qui i due fratelli vivevano del lavoro della terra e non volendo avere problemi con i briganti accettarono, seppure mal volentieri, la loro presenza. Giandomenico Primavera, il fratello più grande, non sopportava però questa visita. Egli non temeva tanto la reazione del brigante quanto invece la rappresaglia da parte delle forze dell’ordine. Lo stato di emergenza e la dura repressione imposta dalla legge Pica non lasciava spazio a tentennamenti. Coloro che venivano trovati a dar man forte ai briganti dovevano essere arrestati. Potevano essere fucilati. Si recò, quindi, a Guardiagrele per denunciare la fastidiosa presenza.
Nel giro di poco tempo, in paese, si organizzò una forza armata di carabinieri reali e guardie nazionali. Tutti si recarono presso la masseria Primavera mentre i quattro fuggiaschi, all’insaputa di tutto, continuavano a mangiare e bere. Nicola, previdente, lasciò uno dei suoi compagni di guardia all’esterno, sapendo benissimo di stare in costante pericolo. La sentinella si accorse del sopraggiungere dei militi e gridò l’allerta. Le forze dell’ordine cercarono di circondare la masseria ma i quattro briganti risposero immediatamente sparando con i fucili. Impedirono alle guardie di circondarli. Lo scontro fu, però, molto duro. Per trenta minuti il buio della notte venne interrotto dai lampi della fucileria. La distanza in cui vennero a trovarsi i due gruppi armati fu molto ravvicinata e, inevitabilmente, i proiettili vacanti riuscirono a colpire. La guardia nazionale Pietro Bucceroni ed il carabiniere Giuseppe de Angelis furono raggiunti dal fuoco e caddero feriti gravemente. Moriranno entrambi qualche giorno dopo. I briganti riuscirono a fuggire ma uno di loro, Saverio Menna, venne raggiunto da una serie di proiettili proprio all’ultimo secondo prima di nascondersi nel bosco. Cadde stramazzato a terra. I suoi compagni non ebbero il tempo di capire se era vivo o morto. I briganti erano uniti tra di loro fino a quando erano vivi. Non c’era tempo per piangersi da morti.
Nicola Marino, detto occhie di celle riuscì a fuggire. Non era stata la prima volta. Non sarebbe stata neppure l’ultima. Tuttavia, con il sopraggiungere della stagione invernale e la pressione sempre più forte dei soldati, decise di raggiungere, come ogni inverno, lo Stato Pontificio. A Roma avrebbe ritrovato Domenico di Sciasio che lo aveva preceduto nella città eterna, ed anche Domenico Valerio detto Cannone. A primavera sarebbero tornati insieme ed avrebbero dominato tutta la Maiella ancora per una stagione, forse, per alcuni anche l’ultima della propria vita.
A cura di Nunzio Mezzanotte - Documenti tecnico – scientifici del PNM n.10
Iniziativa promossa con i volontari S.C.U. – Ilaria Di Prinzio, Valentina Di Prinzio, Sebastian Giovannucci
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