23 Dicembre 2024
Un Parco di Montagna affacciato sul Mare

Gli aspetti forestali del Parco

Il patrimonio forestale del Parco interessa più della metà del territorio dell'area protetta. Per circa due terzi esso è costituito da boschi, per la restante parte da arbusteti.Prevalente è la foresta temperata decidua, che si presenta in varie forme: faggete, cerrete, querceti di roverella (Quercus pubescens), ostrieti, formazioni igrofile ripariali, cui si aggiunge un unico popolamento relitto di betulla (Betula pendula). La componente sempreverde è invece composta da mughete, pinete di pino nero autoctono (Pinus nigra var. italica), rimboschimenti di conifere varie, ginepreti e dalla lecceta che si insedia sulle superfici più acclivi alle quote inferiori.
La tipologia fisionomica maggiormente diffusa è la faggeta, che occupa poco meno del 30% del territorio del Parco.
Essa si colloca nella fascia montana, tra i 1000 e i 1800 m di quota. Più in basso sono collocati i querceti ed i boschi misti di caducifoglie termofile; più in alto, fino a 2300-2400 m s.l.m., gli arbusteti subalpini, cioè formazioni prostrate a pino mugo (Pinus mugo), ginepro nano (Juniperus communis var. saxatilis) o uva orsina (Arctostaphylos uva-ursi).
La popolazione di pino mugo della Majella, la più estesa di tutto l'Appennino, riveste una notevole importanza biogeografica e conservazionistica, trattandosi di specie rara che ha in Abruzzo il limite meridionale di distribuzione.
Per contro, l'Acero di Lobel (Acer lobelii), specie arborea endemica legata alle faggete, vede proprio qui nel Parco, lungo il versante Adriatico, il suo limite settentrionale.

L'uso intenso delle risorse naturali dei secoli passati ha ridotto sia l'estensione, sia la complessità strutturale e funzionale della foresta che, generalmente, si trova in una condizione molto lontana dalle vere cenosi naturali. Tuttavia, negli ultimi decenni il bosco sta recuperando superficie e struttura e si può tranquillamente affermare che il territorio, nell'ultimo secolo, non è mai stato boscato come adesso. Questo si deve, da un lato, al declino delle attività agro-pastorali a partire dal secondo dopoguerra che ha innescato processi dinamici in seno alla vegetazione, dall'altro alla gestione forestale dell'area protetta la quale, sulla base di quanto previsto dal Piano del Parco, è finalizzata al recupero della naturalità delle formazioni.

Nel Parco non mancano aspetti di foresta vetusta, caratterizzati dalla presenza di individui arborei di notevoli dimensioni ed abbondante legno morto, nonché da un'elevata diversità di specie. Ne sono esempi il Bosco di S. Antonio, a Pescocostanzo, ed alcune porzioni di faggeta nei territori di Palena e Pizzoferrato.
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