Roccamorice Insorge: 21 ottobre - 1 novembre 1860
Il 21 ottobre 1860 ci fu un plebiscito per votare l’annessione del regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna. Durante le operazioni di voto a Roccamorice vi era tensione: non tutti erano favorevoli ad accettare supinamente di diventare sudditi dei Savoia. Così al grido di “Viva Francesco II” il giorno del sì ai Savoia si trasformò in un’azione di protesta.
L’insurrezione scoppiò subito dopo le funzioni liturgiche della mattina. Il suono della campana aveva chiamato a raccolta la gente della Maiella, soprattutto contadini, strenui difensori del loro ceto contro i galantuomini piemontesi a cui si sarebbero dovuti assoggettare.
Le guardie nazionali in un primo momento riuscirono a bloccare gli insorti, giunti presso la loro sede. Tuttavia la situazione non si sarebbe ristabilita facilmente. Mentre i reazionari di Roccamorice decidevano di continuare l’attacco alle autorità, Antonio Cafarelli, Antonio D’Amario e Donato d’Angelo, alcuni dei giovani evasi che avevano guidato l’insurrezione, correvano verso Caramanico per chiedere l’intervento di Angelo Camillo Colafella, che avrebbe dovuto prendere il comando della reazione generale.
Colafella non intervenne subito. A suo avviso, stando a quanto riportano i documenti del tempo, l’insurrezione di Roccamorice era una semplice soluzione di conti tra una parte della popolazione e le figure socialmente più elevate o si configurava come un saccheggio. Certo è che i tre giovani roccolani, da lui accorsi, furono congedati con la promessa che sarebbe giunto appena possibile e ricevettero in dono un fucile.
L’insurrezione di Roccamorice non fu senza effetti. Essa generò «la restaurazione», ovvero il ritorno ad alcune misure del passato regime di governo. A dimostrazione di ciò ci fu il ritorno ai simboli borbonici con la collocazione nel corpo di guardia dei busti in gesso di Ferdinando II e Maria Teresa, presi dalla casa comunale.
La restaurazione a Roccamorice durò fino al primo novembre. In questo giorno verso mezzogiorno arrivò la notizia che stava giungendo Colafella, che fino ad allora era rimasto a Caramanico, baluardo di sicurezza contro la forza pubblica di Chieti e di Tocco che stava riportando l’ordine in tutti i paesi della valle dell’Orta e sarebbe giunta presto anche nei paesi della Maiella.
Colafella e il suo seguito non potè realizzare il progetto di restaurazione anche nei paesi vicini a Roccamorice: Abbateggio, San Valentino e Lettomanoppello. Un reggimento di soldati piemontesi ben armato li raggiunse, entrò a Roccamorice e riportò l’ordine, catturando tutti gli evasi.
Nella memoria rimarrà il ricordo della tenace resistenza di Roccamorice, dove qualcuno ancora tramava per rovesciare il governo unitario.
Non a caso la vicenda del famigerato Nicola Marino e dei suoi compagni, che costituiranno l’ossatura della banda Maiella, comincerà da qui.
L’insurrezione scoppiò subito dopo le funzioni liturgiche della mattina. Il suono della campana aveva chiamato a raccolta la gente della Maiella, soprattutto contadini, strenui difensori del loro ceto contro i galantuomini piemontesi a cui si sarebbero dovuti assoggettare.
Le guardie nazionali in un primo momento riuscirono a bloccare gli insorti, giunti presso la loro sede. Tuttavia la situazione non si sarebbe ristabilita facilmente. Mentre i reazionari di Roccamorice decidevano di continuare l’attacco alle autorità, Antonio Cafarelli, Antonio D’Amario e Donato d’Angelo, alcuni dei giovani evasi che avevano guidato l’insurrezione, correvano verso Caramanico per chiedere l’intervento di Angelo Camillo Colafella, che avrebbe dovuto prendere il comando della reazione generale.
Colafella non intervenne subito. A suo avviso, stando a quanto riportano i documenti del tempo, l’insurrezione di Roccamorice era una semplice soluzione di conti tra una parte della popolazione e le figure socialmente più elevate o si configurava come un saccheggio. Certo è che i tre giovani roccolani, da lui accorsi, furono congedati con la promessa che sarebbe giunto appena possibile e ricevettero in dono un fucile.
L’insurrezione di Roccamorice non fu senza effetti. Essa generò «la restaurazione», ovvero il ritorno ad alcune misure del passato regime di governo. A dimostrazione di ciò ci fu il ritorno ai simboli borbonici con la collocazione nel corpo di guardia dei busti in gesso di Ferdinando II e Maria Teresa, presi dalla casa comunale.
La restaurazione a Roccamorice durò fino al primo novembre. In questo giorno verso mezzogiorno arrivò la notizia che stava giungendo Colafella, che fino ad allora era rimasto a Caramanico, baluardo di sicurezza contro la forza pubblica di Chieti e di Tocco che stava riportando l’ordine in tutti i paesi della valle dell’Orta e sarebbe giunta presto anche nei paesi della Maiella.
Colafella e il suo seguito non potè realizzare il progetto di restaurazione anche nei paesi vicini a Roccamorice: Abbateggio, San Valentino e Lettomanoppello. Un reggimento di soldati piemontesi ben armato li raggiunse, entrò a Roccamorice e riportò l’ordine, catturando tutti gli evasi.
Nella memoria rimarrà il ricordo della tenace resistenza di Roccamorice, dove qualcuno ancora tramava per rovesciare il governo unitario.
Non a caso la vicenda del famigerato Nicola Marino e dei suoi compagni, che costituiranno l’ossatura della banda Maiella, comincerà da qui.
A cura di Nunzio Mezzanotte - Documenti tecnico – scientifici del PNM n.10
Iniziativa promossa con i volontari S.C.U. – Ilaria Di Prinzio, Valentina Di Prinzio, Sebastian Giovannucci
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