LA BATTAGLIA DI CAMPO DI GIOVE
14 Agosto 1862
Ai primi di agosto 1862 presso l’impenetrabile bosco di Monte d’Ugni, nella Maiella Orientale, si riunirono 110 uomini al comando del capobrigante Francesco Antonio Cappucci, capitano e luogotenente del capo brigante di Sora, Luigi Alonsi detto il Chiavone. Questi aveva inviato sulla Maiella il suo luogotenente più fidato per dar man forte alle bande filoborboniche.
Presero parte a quell’incontro Domenico Di Sciascio di Guardiagrele e molti altri briganti provenienti dai vari paesi della Maiella. Alcuni di loro, inoltre, avevano prestato servizio come effettivi del disciolto esercito delle Due Sicilie.
Tra la banda vi era anche un certo Domenicantonio. Egli insisteva di predisporre un attacco contro il suo paese: Campo di Giove. L’obiettivo principale era la potente famiglia Ricciardi in modo da poter prendere rifornimenti, armi e munizioni. Cappucci ci pensò e disse che effettivamente era possibile.
Con fucili e provviste per pochi giorni, privi di cavalcature, gli uomini del Cappucci, ben abituati agli spostamenti su qualsiasi terreno, soprattutto quelli montani, dalla montagna d’Ugni passarono per la località oggi chiamata Martellese (2049m), scesero verso la zona di «La Carezza» per ripidi sentieri e qui risalirono verso Cima Murelle (2596m), raggiunsero la sella del Monte Acquaviva e dopo aver raggiunto il monte Focalone (2676 m) si diressero verso il monte Amaro (2793m) e discesero verso la valle di Femmina morta. Da qui dopo aver attraversato la zona di fondo di Femmina morta raggiunsero Guado di Coccia. Essi poterono scrutare ed osservare il borgo di Campo di Giove e studiare un piano di battaglia. Dal passo, i briganti scesero lungo il sentiero che costeggia l’eremo di Sant’Antonino, dove si trova ancora oggi una piccola sorgente utile per dissetare i camminatori e passare la notte. La mattina del 14 Agosto, Matteo Ciccone, mentre stava trebbiando vide dalla strada di Sant’Antonino scendere il grande gruppo di armati. Poco prima dell’attacco Cappucci ordinò a Francesco da Caramanico di suonare la tromba ed iniziare l’assalto a mo’ di cordone con lui al centro con sciabola e fucile a doppia canna.
Gioacchino Lucci, calzolaio del paese, era appena uscito di casa. Ad un certo punto sentì delle grida di donna : «Allarma, allarma li brigante!». Immediatamente si recò presso il corpo di guardia, dove oggi vi è Piazza Margherita, riuscendo miracolosamente a schivare due proiettili vaganti e a raggiungere la struttura dove vi erano altri suoi compagni. Il sergente Luzzi, della guardia nazionale, al comando dei suoi uomini, iniziò a sparare dalle finestre contro i briganti che avevano raggiunto la piazza. Nel frattempo gli uomini di Cappucci puntarono verso casa Ricciardi, attuale sede municipale, intimando la resa in nome di Francesco II. Qui gli abitanti, uomini e donne, imbracciati i fucili cercavano di resistere all’assalto. Gli attaccanti, però, erano ben protetti dietro le mura delle aie delle case e dietro le siepi. La parte più bassa del borgo era stata invasa, ma i briganti camminando di raso lungo le mura si avvicinarono il più vicino possibile alla casa di don Vincenzo. Dalle mura alla casa rimanevano pochi metri, ma allo scoperto, che essi percorsero di corsa dovendo, però, immediatamente arretrare a causa della fucileria dei difensori. L’abitazione fu bersagliata dai proiettili tanto che ancora oggi è possibile vedere fori sulla colombaia soprastante. Allora il Cappucci arringò i suoi e partì per un nuovo attacco, ma fu colpito a morte in modo istantaneo. Il comando fu preso da Francesco La Rocca, di Pacentro, che guidò nuovamente i suoi all’assalto e quasi giunto alla porta fu raggiunto dai proiettili di Nicola Ricciardi, il figlio del capitano della guardia, e rimase ucciso mentre altri venivano feriti. Mentre su questo fronte i briganti dovettero ripararsi, altri furono presi dal tiro proveniente dalle case degli Alicandri e dei Nardi, questi ultimi rivali dei Ricciardi, ma uniti ora nella lotta. I briganti cercarono di appiccare il fuoco su alcune ma furono bersagliati dall’anziano Donato Antonietti. A questo punto, gli invasori decisero di ritirarsi sotto il fuoco di fucileria.
Dopo due ore e mezzo di combattimenti la pace tornò a Campo di Giove. Intanto la banda si sfaldò. Una parte di essa, quelli di Caramanico, andarono verso il loro paese tramite il Passo San Leonardo e la zona di Lama Bianca più al riparo dalle vedette mentre il resto salì nuovamente sulla Maiella. Quasi tutti tornarono verso il monte d’Ugni.
Nella battaglia di Campo di Giove non comparve il famigerato brigante Fabiano Marcucci detto Primiano. Egli non poteva, o non voleva, attaccare il suo paese ma dal 1862 al 1866 fu signore incontrastato dei monti circostanti fino ad effettuare importanti incursioni nell’alto Vastese e in Molise. Nel 1866 sarà catturato a Velletri e rimarrà in carcere per 45 anni. Tornerà nel suo paese natio nei primi anni del ‘900 per raccontare le sue gesta.
Ai primi di agosto 1862 presso l’impenetrabile bosco di Monte d’Ugni, nella Maiella Orientale, si riunirono 110 uomini al comando del capobrigante Francesco Antonio Cappucci, capitano e luogotenente del capo brigante di Sora, Luigi Alonsi detto il Chiavone. Questi aveva inviato sulla Maiella il suo luogotenente più fidato per dar man forte alle bande filoborboniche.
Presero parte a quell’incontro Domenico Di Sciascio di Guardiagrele e molti altri briganti provenienti dai vari paesi della Maiella. Alcuni di loro, inoltre, avevano prestato servizio come effettivi del disciolto esercito delle Due Sicilie.
Tra la banda vi era anche un certo Domenicantonio. Egli insisteva di predisporre un attacco contro il suo paese: Campo di Giove. L’obiettivo principale era la potente famiglia Ricciardi in modo da poter prendere rifornimenti, armi e munizioni. Cappucci ci pensò e disse che effettivamente era possibile.
Con fucili e provviste per pochi giorni, privi di cavalcature, gli uomini del Cappucci, ben abituati agli spostamenti su qualsiasi terreno, soprattutto quelli montani, dalla montagna d’Ugni passarono per la località oggi chiamata Martellese (2049m), scesero verso la zona di «La Carezza» per ripidi sentieri e qui risalirono verso Cima Murelle (2596m), raggiunsero la sella del Monte Acquaviva e dopo aver raggiunto il monte Focalone (2676 m) si diressero verso il monte Amaro (2793m) e discesero verso la valle di Femmina morta. Da qui dopo aver attraversato la zona di fondo di Femmina morta raggiunsero Guado di Coccia. Essi poterono scrutare ed osservare il borgo di Campo di Giove e studiare un piano di battaglia. Dal passo, i briganti scesero lungo il sentiero che costeggia l’eremo di Sant’Antonino, dove si trova ancora oggi una piccola sorgente utile per dissetare i camminatori e passare la notte. La mattina del 14 Agosto, Matteo Ciccone, mentre stava trebbiando vide dalla strada di Sant’Antonino scendere il grande gruppo di armati. Poco prima dell’attacco Cappucci ordinò a Francesco da Caramanico di suonare la tromba ed iniziare l’assalto a mo’ di cordone con lui al centro con sciabola e fucile a doppia canna.
Gioacchino Lucci, calzolaio del paese, era appena uscito di casa. Ad un certo punto sentì delle grida di donna : «Allarma, allarma li brigante!». Immediatamente si recò presso il corpo di guardia, dove oggi vi è Piazza Margherita, riuscendo miracolosamente a schivare due proiettili vaganti e a raggiungere la struttura dove vi erano altri suoi compagni. Il sergente Luzzi, della guardia nazionale, al comando dei suoi uomini, iniziò a sparare dalle finestre contro i briganti che avevano raggiunto la piazza. Nel frattempo gli uomini di Cappucci puntarono verso casa Ricciardi, attuale sede municipale, intimando la resa in nome di Francesco II. Qui gli abitanti, uomini e donne, imbracciati i fucili cercavano di resistere all’assalto. Gli attaccanti, però, erano ben protetti dietro le mura delle aie delle case e dietro le siepi. La parte più bassa del borgo era stata invasa, ma i briganti camminando di raso lungo le mura si avvicinarono il più vicino possibile alla casa di don Vincenzo. Dalle mura alla casa rimanevano pochi metri, ma allo scoperto, che essi percorsero di corsa dovendo, però, immediatamente arretrare a causa della fucileria dei difensori. L’abitazione fu bersagliata dai proiettili tanto che ancora oggi è possibile vedere fori sulla colombaia soprastante. Allora il Cappucci arringò i suoi e partì per un nuovo attacco, ma fu colpito a morte in modo istantaneo. Il comando fu preso da Francesco La Rocca, di Pacentro, che guidò nuovamente i suoi all’assalto e quasi giunto alla porta fu raggiunto dai proiettili di Nicola Ricciardi, il figlio del capitano della guardia, e rimase ucciso mentre altri venivano feriti. Mentre su questo fronte i briganti dovettero ripararsi, altri furono presi dal tiro proveniente dalle case degli Alicandri e dei Nardi, questi ultimi rivali dei Ricciardi, ma uniti ora nella lotta. I briganti cercarono di appiccare il fuoco su alcune ma furono bersagliati dall’anziano Donato Antonietti. A questo punto, gli invasori decisero di ritirarsi sotto il fuoco di fucileria.
Dopo due ore e mezzo di combattimenti la pace tornò a Campo di Giove. Intanto la banda si sfaldò. Una parte di essa, quelli di Caramanico, andarono verso il loro paese tramite il Passo San Leonardo e la zona di Lama Bianca più al riparo dalle vedette mentre il resto salì nuovamente sulla Maiella. Quasi tutti tornarono verso il monte d’Ugni.
Nella battaglia di Campo di Giove non comparve il famigerato brigante Fabiano Marcucci detto Primiano. Egli non poteva, o non voleva, attaccare il suo paese ma dal 1862 al 1866 fu signore incontrastato dei monti circostanti fino ad effettuare importanti incursioni nell’alto Vastese e in Molise. Nel 1866 sarà catturato a Velletri e rimarrà in carcere per 45 anni. Tornerà nel suo paese natio nei primi anni del ‘900 per raccontare le sue gesta.
a cura di Nunzio Mezzanotte “Briganti della Maiella, personaggi, luoghi e avventure”; Documenti tecnico – scientifici del PNM n.10
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