FONTE COLECCHIA: IL PASSO DI PASQUALE MANCINI
Pescocostanzo, 17 Maggio 1861
Gli abitanti di Pescocostanzo scendevano verso Sulmona per i loro affari attraversando il bosco di Sant’Antonio, poi proseguivano fino a Cansano e da lì scendevano nella Conca Peligna. Questa via era considerata la più sicura ed agevole per raggiungere il centro peligno. Tuttavia nel maggio 1861 le cose erano cambiate e quel percorso poteva presentare delle incognite soprattutto per coloro che appoggiavano il nuovo governo unitario italiano da poco proclamato. Il signor Francesco Mannella, uomo ricco di Pescocostanzo e sostenitore del nuovo governo, doveva recarsi a Sulmona per poter assolvere ai suoi affari. Da qualche giorno aveva saputo della presenza di uomini armati in quella zona e, quindi, fece appello alla guardia nazionale operante a Pescocostanzo per poter avere la via protetta e sicura. Molti asserivano che il punto più pericoloso fosse localizzato tra il bosco di Sant’Antonio ed il bosco Bucchianico, nei pressi di Fonte Fredda, dove erano state viste persone armate nei giorni precedenti. Non meno pericolosa, a detta di alcuni, era anche la zona di Fonte Colecchia. In realtà erano momenti critici in cui anche nei pressi di Pescocostanzo era necessario stare attenti. Si parlava di una banda di uomini, guidati da un certo Pasquale Mancini di Pacentro, da taluni definito «il mercante» che dal borgo natio si spostava fin sopra Primo Campo. Il signor Mannella, però, doveva pur continuare la sua vita. La sua vita erano gli affari. Per questo si fece scortare da alcuni componenti della guardia nazionale locale: Francesco e Nicola Rainaldi, Domenico Falconio, Emidio Di Paolo, Edoardo Zappi ed Angelo Imperatore. I sette partirono sul far dell’alba ed attraversarono la zona di Primo Campo per poi discendere verso Cansano e giunti in località, a detta di Mannela, più sicure si decise che il gruppo potesse dividersi. Infatti Francesco Rainaldi, Falconio e lo stesso Mannela proseguirono verso Sulmona mentre gli altri quattro risalirono verso Pescocostanzo. La via costeggia faggete molto fitte e soprattutto la strada si pone sempre in salita, cosicché chi è nascosto può osservare e prepararsi al meglio per un agguato. I quattro erano quasi arrivati nei pressi di Fonte Colecchia quando furono colti improvvisamente da uno sparo e da numerose grida: «Faccia a Terra!». Le grida arrivarono da ogni dove. L’intento era quello di far paura alle quattro guardie, ma essi impugnati i fucili si prepararono ad accogliere gli aggressori. Eccoli quindi, sei briganti armati uscirono dalla boscaglia e sparavano all’impazzata. I quattro della guardia non furono da meno e risposero determinati. Non era possibile per loro, accerchiati, difendersi ad oltranza. Il numero dei briganti, a detta dei testimoni, iniziava ad aumentare e così bisognava battere ritirata. Nicola Rainaldi e Zappi fuggirono indietro verso Cansano per chiamare aiuto, mentre Emidio di Padova, inseguito nel bosco dai briganti, trovò rifugio in mezzo ai cespugli. Forse si nascose lungo la vegetazione fluviale che circonda il torrente che discende dal bosco di Sant’Antonio verso Sulmona; oppure in una zona densa di felci dove impossibile è trovare qualcuno a Giugno quando la loro altezza, se la primavera è stata piovosa, può arrivare anche ad oltre un metro e mezzo. In tutto questo i briganti giravano e scandagliavano la zona per farlo fuori senza riuscirci. Non fu fortunato, invece, Angelo Imperatore. Gli assalitori lo raggiunsero e lo afferrarono. Fu portato presso Piano Melucci. Lì, «fortemente legato nelle mani, che stavano giunte palmo a palmo», fu ucciso come a seguito di una sentenza. I briganti avevano preso il suo fucile, forse anche quello degli altri, oltre che alle munizioni. Essi non sopportavano la presenza della guardia nazionale. Consideravano in quel momento gli uomini della guardia nazionale come traditori. Così erano etichettati poiché erano passati troppo velocemente al servizio del nuovo re.
Ora, coloro che erano stati sudditi di uno stesso sovrano, il Borbone, e sotto la stessa bandiera, quella del giglio bianco, si sparavano addosso poiché le differenze sociali erano emerse maggiormente oppure qualcosa era cambiato nei nuovi equilibri sociali appena creatisi. Tuttavia, è solo l’inizio di un periodo triste e drammatico in cui le fitte faggete saranno teatro di agguati e sparatoie e non più solo di pace. Francesco Mannela fù salvo, ma un figlio di Pescocostanzo, Angelo Imperatore, non ritornò più a casa. Intanto alcuni pastori testimoniarono più volte che a comando di quegli uomini armati, ed ora sempre più braccati, vi era Pasquale Mancini di Pacentro, detto «il mercante». Ha inizio la sua epopea e quella della sua banda.
a cura di Nunzio Mezzanotte “Briganti della Maiella, personaggi, luoghi e avventure”; Documenti tecnico – scientifici del PNM n.10
Iniziativa promossa con i volontari S.C.U. – Ilaria Di Prinzio, Valentina Di Prinzio, Sebastian Giovannucci
Gli abitanti di Pescocostanzo scendevano verso Sulmona per i loro affari attraversando il bosco di Sant’Antonio, poi proseguivano fino a Cansano e da lì scendevano nella Conca Peligna. Questa via era considerata la più sicura ed agevole per raggiungere il centro peligno. Tuttavia nel maggio 1861 le cose erano cambiate e quel percorso poteva presentare delle incognite soprattutto per coloro che appoggiavano il nuovo governo unitario italiano da poco proclamato. Il signor Francesco Mannella, uomo ricco di Pescocostanzo e sostenitore del nuovo governo, doveva recarsi a Sulmona per poter assolvere ai suoi affari. Da qualche giorno aveva saputo della presenza di uomini armati in quella zona e, quindi, fece appello alla guardia nazionale operante a Pescocostanzo per poter avere la via protetta e sicura. Molti asserivano che il punto più pericoloso fosse localizzato tra il bosco di Sant’Antonio ed il bosco Bucchianico, nei pressi di Fonte Fredda, dove erano state viste persone armate nei giorni precedenti. Non meno pericolosa, a detta di alcuni, era anche la zona di Fonte Colecchia. In realtà erano momenti critici in cui anche nei pressi di Pescocostanzo era necessario stare attenti. Si parlava di una banda di uomini, guidati da un certo Pasquale Mancini di Pacentro, da taluni definito «il mercante» che dal borgo natio si spostava fin sopra Primo Campo. Il signor Mannella, però, doveva pur continuare la sua vita. La sua vita erano gli affari. Per questo si fece scortare da alcuni componenti della guardia nazionale locale: Francesco e Nicola Rainaldi, Domenico Falconio, Emidio Di Paolo, Edoardo Zappi ed Angelo Imperatore. I sette partirono sul far dell’alba ed attraversarono la zona di Primo Campo per poi discendere verso Cansano e giunti in località, a detta di Mannela, più sicure si decise che il gruppo potesse dividersi. Infatti Francesco Rainaldi, Falconio e lo stesso Mannela proseguirono verso Sulmona mentre gli altri quattro risalirono verso Pescocostanzo. La via costeggia faggete molto fitte e soprattutto la strada si pone sempre in salita, cosicché chi è nascosto può osservare e prepararsi al meglio per un agguato. I quattro erano quasi arrivati nei pressi di Fonte Colecchia quando furono colti improvvisamente da uno sparo e da numerose grida: «Faccia a Terra!». Le grida arrivarono da ogni dove. L’intento era quello di far paura alle quattro guardie, ma essi impugnati i fucili si prepararono ad accogliere gli aggressori. Eccoli quindi, sei briganti armati uscirono dalla boscaglia e sparavano all’impazzata. I quattro della guardia non furono da meno e risposero determinati. Non era possibile per loro, accerchiati, difendersi ad oltranza. Il numero dei briganti, a detta dei testimoni, iniziava ad aumentare e così bisognava battere ritirata. Nicola Rainaldi e Zappi fuggirono indietro verso Cansano per chiamare aiuto, mentre Emidio di Padova, inseguito nel bosco dai briganti, trovò rifugio in mezzo ai cespugli. Forse si nascose lungo la vegetazione fluviale che circonda il torrente che discende dal bosco di Sant’Antonio verso Sulmona; oppure in una zona densa di felci dove impossibile è trovare qualcuno a Giugno quando la loro altezza, se la primavera è stata piovosa, può arrivare anche ad oltre un metro e mezzo. In tutto questo i briganti giravano e scandagliavano la zona per farlo fuori senza riuscirci. Non fu fortunato, invece, Angelo Imperatore. Gli assalitori lo raggiunsero e lo afferrarono. Fu portato presso Piano Melucci. Lì, «fortemente legato nelle mani, che stavano giunte palmo a palmo», fu ucciso come a seguito di una sentenza. I briganti avevano preso il suo fucile, forse anche quello degli altri, oltre che alle munizioni. Essi non sopportavano la presenza della guardia nazionale. Consideravano in quel momento gli uomini della guardia nazionale come traditori. Così erano etichettati poiché erano passati troppo velocemente al servizio del nuovo re.
Ora, coloro che erano stati sudditi di uno stesso sovrano, il Borbone, e sotto la stessa bandiera, quella del giglio bianco, si sparavano addosso poiché le differenze sociali erano emerse maggiormente oppure qualcosa era cambiato nei nuovi equilibri sociali appena creatisi. Tuttavia, è solo l’inizio di un periodo triste e drammatico in cui le fitte faggete saranno teatro di agguati e sparatoie e non più solo di pace. Francesco Mannela fù salvo, ma un figlio di Pescocostanzo, Angelo Imperatore, non ritornò più a casa. Intanto alcuni pastori testimoniarono più volte che a comando di quegli uomini armati, ed ora sempre più braccati, vi era Pasquale Mancini di Pacentro, detto «il mercante». Ha inizio la sua epopea e quella della sua banda.
a cura di Nunzio Mezzanotte “Briganti della Maiella, personaggi, luoghi e avventure”; Documenti tecnico – scientifici del PNM n.10
Iniziativa promossa con i volontari S.C.U. – Ilaria Di Prinzio, Valentina Di Prinzio, Sebastian Giovannucci
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