Capo di Fiume, Sorgenti del Fiume Aventino, Monte Porrara, Quarto S. Chiara
Progetto editoriale con la collaborazione del fotografo Bruno D'Amicis
Per iniziare a prendere un po' di confidenza con il Geoparco Maiella e le sue meraviglie, vale la pena farsi un giretto nella sua porzione meridionale, e, più precisamente, nei dintorni di Palena.
Questa graziosa cittadina gode di una posizione dominante sull'alta Valle dell'Aventino e di un bel centro storico, in parte risparmiato dagli eventi nefasti della Seconda Guerra Mondiale. Gli splendidi boschi e i vasti panorami che circondano Palena oggi invitano a dimenticare alcuni degli episodi più atroci ed efferati del Secondo Conflitto, avvenuti in particolare nel 1943-44, quando qui correva la cosiddetta Linea Gustav e i centri abitati dell'area erano nelle mani dei nazisti.
Per arrivare a Palena dalle grandi città, quali Roma o Napoli, si percorre la strada che interseca gli Altipiani Maggiori e, costeggiando Pescocostanzo, supera il Valico della Forchetta, a quota 1260, ed entra nel mondo poco conosciuto della Valle dell'Aventino. Dopo alcuni chilometri attraverso boschi fitti e ricchi di fauna (attenzione agli animali selvatici lungo la strada!), gli ultimi tornanti della strada raggiungono la località Capo di Fiume. Qui, alla “testa del fiume”, appunto, si trovano le sorgenti dell'Aventino. O, meglio, qui è dove questo bel fiume viene alla luce. Sì, perché le sue acque, in realtà ,arrivano da un po' più lontano...
Per arrivare a Palena dalle grandi città, quali Roma o Napoli, si percorre la strada che interseca gli Altipiani Maggiori e, costeggiando Pescocostanzo, supera il Valico della Forchetta, a quota 1260, ed entra nel mondo poco conosciuto della Valle dell'Aventino. Dopo alcuni chilometri attraverso boschi fitti e ricchi di fauna (attenzione agli animali selvatici lungo la strada!), gli ultimi tornanti della strada raggiungono la località Capo di Fiume. Qui, alla “testa del fiume”, appunto, si trovano le sorgenti dell'Aventino. O, meglio, qui è dove questo bel fiume viene alla luce. Sì, perché le sue acque, in realtà ,arrivano da un po' più lontano...
Se si tornasse indietro lungo il percorso appena fatto, risalendo la strada di qualche chilometro, nei pressi della piccola stazione ferroviaria di Palena, apparirebbe alla vista un grande tavolato smeraldino, sorprendentemente pianeggiante. Questa vasta piana erbosa, colorata da incredibili fioriture di narcisi e ranuncoli a primavera, dove in estate pascolano le vacche e in inverno passa ogni tanto furtivo qualche lupo, è il Quarto Santa Chiara. Il cuore dell'omonima Riserva Naturale di quasi 500 ettari gestita dal Reparto Carabinieri Biodiversità di Castel di Sangro. Si tratta di un altipiano di origine tettono-carsico, originatosi nei millenni dal movimento di distanziamento delle montagne lungo le rispettive faglie e dal successivo deposito dei sedimenti, ed esposto al costante lavorio degli agenti atmosferici. La neve e le piogge alimentano un piccolo torrente, il Fosso La Vera, che come un serpente attraversa sinuoso la prateria erbosa del Quarto e una particolare vegetazione di carici e altre piante legate agli ambienti umidi. Eppure, dopo un brevissimo corso, le sue acque scompaiono all'improvviso in un piccolo inghiottitoio situato alle pendici del Monte Porrara. Ma dove vanno?
Tracciando le acque del La Vera con dei coloranti, si è visto come queste riemergessero un paio di ore più tardi a Capo di Fiume, ovvero dall'altra parte della montagna, in un altro bacino idrografico!
Sorprendente, vero? Ma non è finita qui. La quantità di acqua che emerge dalle sorgenti di Capo di Fiume è notevolmente maggiore (una portata anche di oltre 2 metri cubi al secondo!) rispetto a quella che entra nell'inghiottitoio, dimostrando così che il Porrara, come spesso avviene in territori carsici, in fondo non è altro che un forziere pieno di acqua. Quella che raggiunge il monte attraverso le precipitazioni, infatti, assorbita e trattenuta dai boschi e dal suolo sulle sue pendici, si infiltra poi nella roccia, e goccia dopo goccia si raccoglie in quantità inimmaginabili (parliamo di centinaia di migliaia di litri!) al suo interno, prima di riemergere a Capo di Fiume con forza prorompente.
La luce del tramonto illumina la lunga e sottile cresta sommitale del Porrara che si slancia verso il massiccio principale della Maiella. Dalla vetta, si può godere di una delle vedute più belle dell'Appennino.
Il Monte Porrara, o “la Porrara” come viene più spesso chiamato da queste parti, è l'ultima propaggine meridionale della Maiella. Ammirandone la mole, sembra quasi impossibile che questo enorme massiccio carbonatico, prima di innalzarsi, si sia originato da rocce depositate nel corso dei milioni di anni sul fondo di un mare molto simile a quello degli atolli corallini di oggi.
Nella sua parte sommitale, il Porrara si sviluppa in una lunga cresta, sottile e dentellata come il dorso di uno stegosauro.
L'ascesa alla cima, che supera i 2100 metri, costituisce una delle escursioni più belle dell'intero Appennino. Nelle giornate limpide, da qui la vista può spaziare a 360°. Si va dalla sommità di Monte Amaro fino al promontorio del Gargano, passando rispettivamente per i Monti Gemelli, il Gran Sasso, il Sirente – Velino, il Genzana, i Monti del Parco Nazionale d'Abruzzo e il Massiccio del Matese. Guardando verso il basso, invece, spiccano i pascoli dei Quarti, la Piana Cerreto di Campo di Giove e i boschi dei misteriosi Monti Pizi. Qui non è raro imbattersi in piccoli gruppi di camosci e cervi, o ammirare il volo dell'aquila reale. In particolare, questa è un'area frequentata anche dall'orso bruno marsicano e può capitare di individuarne i segni di presenza, come le grandi pietre e i massi ribaltati dal plantigrado in cerca di larve di formiche.
Ma torniamo alle sorgenti di Capo di Fiume, a poca distanza dalle quali si trova anche l'omonimo geosito, come indicato da opportuna segnaletica. In questo luogo importantissimo per la scienza si vedono chiaramente affiorare in successione numerosi strati di roccia. La peculiare conformazione del pendio e i diversi colori del suolo permettono anche ad un occhio inesperto di cogliere le differenze tra i vari livelli che, come i libri impilati di una biblioteca, possono raccontare le alterne vicende del passato. In poche decine di metri, anche con l'ausilio di pannelli didattici, è possibile “sfogliare” milioni di anni e, compiendo pochi passi, tuffarsi dai mari del Cretacico alle lagune mioceniche.
Ma torniamo alle sorgenti di Capo di Fiume, a poca distanza dalle quali si trova anche l'omonimo geosito, come indicato da opportuna segnaletica. In questo luogo importantissimo per la scienza si vedono chiaramente affiorare in successione numerosi strati di roccia. La peculiare conformazione del pendio e i diversi colori del suolo permettono anche ad un occhio inesperto di cogliere le differenze tra i vari livelli che, come i libri impilati di una biblioteca, possono raccontare le alterne vicende del passato. In poche decine di metri, anche con l'ausilio di pannelli didattici, è possibile “sfogliare” milioni di anni e, compiendo pochi passi, tuffarsi dai mari del Cretacico alle lagune mioceniche.
Momenti di una visita al sito di Capo di Fiume, forse il più importante dell'intero Geoparco Maiella, dove la conformazione della roccia e l'abbondanza di fossili permettono anche ai meno esperti di “leggere” milioni di anni di storia della Terra.
Ma quello che rende Capo di Fiume un sito di rilevanza internazionale e, forse, “Il Geosito” con la “G” maiuscola è l'incredibile abbondanza di resti fossili.
Questa è stata favorita da particolari condizioni ecologiche e climatiche, che ne hanno consentito il ritrovamento, permettendo di ricostruire il contesto ecologico di un paleoambiente. Le rocce per la maggior parte risalgono a circa 6-7 milioni di anni fa, al periodo del Miocene Superiore, o Messiniano, che precede quello immediatamente successivo della chiusura e seguente evaporazione del Mediterraneo. Qui, dove oggi aceri e ginepri si abbarbicano su un pendio incredibilmente ripido, un tempo si stendeva un paesaggio di morbide colline, attraversate da corsi d'acqua e lambite da una placida laguna salmastra poco profonda. Conifere e caducifoglie animavano il paesaggio, piccoli roditori, del genere Prolagus, simili ai pika odierni, vivevano in colonie sulle sponde della laguna, popolata da particolari specie ittiche di ambienti costieri, che al presente in parte si rinvengono esclusivamente nelle acque delle latitudini tropicali. Alcuni dei reperti più belli trovati a Capo di Fiume sono oggi il fiore all'occhiello del vicino Museo Geopaleontologico Alto Aventino di Palena, dove possono essere ammirati in tutta la loro bellezza.
Anche se forse è ovvio ribadirlo, vale qui la pena ricordare che i fossili sono un patrimonio della collettività e che ne è severamente vietata la raccolta. Tutta l'area di Capo di Fiume e le vicine sorgenti dell'Aventino sono sottoposte a vincolo di tutela. Leggi e sanzioni a parte, se l'appropriazione di un fossile porta ad avere poco più di un feticcio senza significato, un museo è invece la collocazione ideale di queste silenziose testimonianze del passato, affinché possano sempre stimolare una maggiore conoscenza e sensibilità nelle generazioni attuali e future.
Anche se forse è ovvio ribadirlo, vale qui la pena ricordare che i fossili sono un patrimonio della collettività e che ne è severamente vietata la raccolta. Tutta l'area di Capo di Fiume e le vicine sorgenti dell'Aventino sono sottoposte a vincolo di tutela. Leggi e sanzioni a parte, se l'appropriazione di un fossile porta ad avere poco più di un feticcio senza significato, un museo è invece la collocazione ideale di queste silenziose testimonianze del passato, affinché possano sempre stimolare una maggiore conoscenza e sensibilità nelle generazioni attuali e future.
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