I pini neri di Cima della Stretta
Se il volto segnato da rughe, fatiche ed esperienze di una persona anziana attrae inevitabilmente la nostra curiosità, così l'aspetto “vetusto” dei grandi patriarchi vegetali è allo stesso modo in grado di serbare storie sorprendenti.
Questa è una delle aree in assoluto più accidentate e selvagge del Parco della Maiella, regno indiscusso di una fauna e flora di prim'ordine: con i suoi 4200 ha, la Riserva Naturale Fara San Martino – Palombaro, infatti, è casa tra l'altro di lupi, camosci e aquile reali, che nidificano sulle stesse pareti dei pini e amano posarsi sui loro rami contorti, aggiungendo nobiltà alla nobiltà.
Questi pini “dimenticati” in realtà sono noti da sempre alla popolazione locale, con il nome dialettale di “chiète” e da sempre sfruttati come legname o per la raccolta della resina, effettuata attraverso delle incisioni e utilizzata per realizzare delle torce che erano impiegate nella processione del Venerdì Santo.
Sono alberi dal tronco possente e dalla corteccia squamosa, che ricorda la pelle dei grandi pachidermi. I rami spessi e contorti sono adornati di fronde color smeraldo e la loro postura elegante che risponde al gioco del vento, della neve e della gravità, ricorda un poco le atmosfere e gli alberi ritratti nei paesaggi dei pittori dell'Estremo Oriente.
Per riuscire a calcolare l'età di questi silenziosi testimoni del cuore della Maiella, negli ultimi anni dal Parco è stato condotto uno studio in collaborazione con l'Università della Tuscia di Viterbo.